lunedì, luglio 24, 2006
La via diplomatica
Teheran è favorevole ad una "soluzione diplomatica" del conflitto tra Israele e Hezbollah e non intende inviare proprie truppe in Libano. Lo ha affermato il portavoce del governo iraniano Gholam-Hossein Elham. Elham ha detto che l'Iran sostiene "tutte le vie legali e diplomatiche" per la cessazione delle ostilità tra le parti.
La guerra in Libano
Teheran - La linea ufficiale di Teheran dice che la Repubblica Islamica con questa guerra non c'entra. Per essere espliciti non sono iraniani i missili che cadono su Israele come invece sostengono Washington e lo Stato ebraico. E non importa se il presidente Mahmud Ahmadinejad in persona inneggia all'eroismo dell'Hezbollah, invita gli «israeliani a fare le valigie» e sostiene che lo Stato ebraico «ha ormai schiacciato il pulsante della sua autodistruzione». Non importa. È solo un «sostegno morale», spiegano i diplomatici di Teheran. Devono invece contare le assicurazioni del capo di Stato Maggiore, il generale Hassan Firouzabadi, «l'Iran non parteciperà alla guerra», e le prove di un coinvolgimento materiale dell'Iran. Prove che nessuno ha ancora mostrato. Unica falla, nella dichiarata neutralità militare di Teheran, è rappresentata da quelle due dozzine di «aspiranti martiri» andati in Libano per immolarsi contro i «diavoli sionisti». Volontari della Guerra Santa, ma precisa Mohammad Ali Samadi, portavoce del Quartier Generale per la Gloria dei Martiri, «senza alcun rapporto con l'Hezbollah e tantomeno con il governo iraniano». Andrea Nicastro Corriere.it
martedì, luglio 18, 2006
Stile islamico
lunedì, luglio 10, 2006
mercoledì, luglio 05, 2006
Il bazar
Teheran– Ogni volta che torno in questo Paese è un’emozione diversa. Naturalmente sono sempre alla ricerca di notizie riguardo il nucleare. Un argomento sempre vivo ma senza una soluzione. Una partita a scacchi infinita giocata tra il presidente iraniano Ahmadinejad e quello americano Bush. E’ facile quando si parla con persone del luogo chiedere come vedono il nucleare. Molti preferiscono non esprimersi altri spiegano che è soltanto per fini pacifici. Intanto le meraviglie a Teheran non mancano e il più delle volte finisco nei bazar. Luoghi che affascinano e catturano ma che allo stesso tempo nascondono infiniti trabocchetti e insidie. Ieri mattina mi sono avventurata in uno di questi in cerca di qualcosa di particolare per una persona molto importante. Mi ha colpita moltissimo una scena che sembrava tratta da un film. C’erano due turisti, probabilmente in viaggio di nozze, stavano scegliendo dei souvenir da portare in Italia, quando ad un certo punto sono stati avvicinati da due che gli proponevano dei tappeti. Mentre uno mostrava i meravigliosi tappeti l’altro molto scaltramente gli rubava il portafogli. Sono rimasta impressionata da questa raccapricciante scena. Comunque ho continuato il mio giro al bazar, ho acquistato degli incensi e tanti piccoli oggetti da mettere nella mia casa e da regalare alla persona importante che dicevo. Tutto sembra magico. Si sente odore di incenso. I colori delle sete e poi mi piace chiudere gli occhi ed immaginare questo luogo molti anni fa quando i mercanti sceglievano la Persia come luogo di scambio delle merci. Simona Maggi
martedì, luglio 04, 2006
Ritorno al futuro
Tehran - Riprendo da dove ho cominciato. Dalla piscina. Due settimane dopo sono finalmente sceso ai bordi, non per assaggiare l'acqua ma per cenare, sotto le luci. E' il nostro saluto a questa grande capitale e a un Paese magico, misterioso, in continua evoluzione. Giorni non facili in cui abbiamo dovuto capire una cultura molto diversa dalla nostra ma anche affascinante per l'incontro con persone che vogliono andare avanti, pur non rinnegando il passato. In questi quindici giorni vi ho mostrato solo qualche scorcio di una realtà complessa e dalle mille facce. Parto con l'intenzione (e la voglia) di tornarci (presto). Vado a Roma con le parole di un amico iraniano: "Guardate bene in casa vostra, ognuno ha i suoi problemini". Leggo sul web la gazzarra tra senatori italiani e chino il capo di fronte a tanta saggezza. 28 giugno 2006
Perchè tanta fretta?
Tehran – Ieri sono entrato in un palazzo del potere, il ministero degli esteri iraniano, il crocevia in questo momento degli interessi politici mondiali. Affollatissima conferenza stampa di Hamid Reza Asefi, portavoce autorevole del ministro Mottaki. Tutte le domande naturalmente sono state sul nucleare. Asefi è stato chiaro: “Noi vogliamo trattare, lo stiamo dimostrando, Mottaki gira il mondo per incontrare islamici e non islamici, vuole sentire il parere di tutti. Siamo assolutamente per il negoziato, ma non bisogna metterci fretta. Il presidente Ahmadinejad ha detto che daremo una risposta entro agosto e i motivi ci sono perché noi dobbiamo innanzitutto pensare agli interessi del nostro Paese e sentire tutte le componenti. Non capiamo questa fretta, abbiamo tutta la volontà di accettare il dialogo con l’Europa. Gli Stati Uniti insistono, sembrano che non abbiano tempo. Invece noi, per esempio, siamo preoccupati dalla loro presenza ai nostri confini. Condanniamo con fermezza il terrorismo irakeno, ma la presenza militare americana costituisce un forte disagio per tutta la regione”. Eloquente. Va chiarito che, ammesso che l'Iran abbia intenzione di costruire la bomba atomica, ci vorrebbero almeno dieci anni a partire da oggi. Il Pakistan, per esempio, già la possiede.
Parlare di nucleare,con una vittima
Tehran - Hamid Salehi ha trentotto anni. Ne dimostra molti di più, è malato gravemente ai polmoni e ha tutto il corpo pieno di piaghe. Aveva solo quindici anni quando partecipò alla guerra contro l'Iraq, da volontario. "Ero piccolo, non ricordo bene, combattevo lungo il fiume, al confine. Un giorno arrivò una bomba e poi un'altra subito dopo. La seconda non esplose. Non capimmo e quando si sprigionò il gas molti miei compagni morirono asfissiati, io mi sentii malissimo". Hamid è una delle vittime della guerra chimica di Saddam, come dicono qui in Iran. Una guerra lunga diciassette anni. Saddam usò almeno trecento volte le armi chimiche, ci dicono. Probabilmente al cianuro, loro le chiamano semplicemente bombe alla mostarda. "Peggio di Hitler" dice Hamid che sta per laurearsi in scienze politiche ma che non potrà mai lavorare perchè sta molto male e deve accontentarsi del sussidio dello Stato. Gli chiediamo allora com'è possibile che anche l'Iran oggi pensi ad usare il nucleare. "Intanto ricordiamoci che non sono i popoli a volere le guerre ma i governi. E tutti quelli che fanno i soldi con le guerre. Io amo tutti, cristiani e mussulmani possono essere fratelli. Io non credo che l'Iran abbia la bomba atomica. Io non voglio una cosa del genere, sarebbe un disastro. Da qualche anno siamo gemellati con le vittime giapponesi di Hiroshima, abbiamo lingue differenti ma ci capiamo, siamo vicini. Non vogliamo altre catastrofi, il mondo non può permetterselo". L'incontro con quest'uomo avviene nei locali dell'associazione dedicata appunto alle vittime della guerra chimica con l'Irak. Un milione di colpiti, almeno cinquantamila ancora a rischio mortale.La sala è piena di disegni dei bambini di Tehran dedicati alla pace. Parliamo anche con il responsabile, Shahriar Khateri. Gli facciamo la stessa domanda, sul nucleare. "Non mi piace parlare di politica, ma intanto bisognerebbe chiedersi perchè gli americani hanno appoggiato quella guerra sporca dell'Irak. Poi bisognerebbe ricordarsi che sono stati sempre loro a buttare la bomba atomica su Hiroshima. Solo a questo punto bisognerebbe interrogarsi sul nucleare iraniano. Rispondo subito che l'Iran, ne sono convinto, non ha la bomba atomica nè ha intenzione di usarla, sono solo parole, politica, propaganda. Ma se pure un giorno disgraziato il nostro governo decidesse di usarla, noi diremmo no, noi siamo tanti, noi popolo iraniano, non lo vogliamo". Salutandoci ci fa vedere sul tavolo una mina antiuomo. "E' italiana." Ma sorride e ci stringe la mano, con amicizia. E' il futuro che conta, non il passato.
La libertà
Tehran - Prima non volevano parlare, scappavano. Hanno visto la telecamera. Quando Leila si è avvicinata e ha spiegato che eravamo italiani hanno sorriso: "Allora sì, loro possono capire". Era stato difficile convincerle a parlare, è stato anche più difficile farle smettere. Parlavano tutte insieme, con fervore. "Guarda, qui la libertà adesso c'è, sarebbe falso dire che non possiamo parlare. Sicuramente noi iraniane siamo più libere di altre donne islamiche. Ma non è ancora abbastanza perchè noi parliamo ma loro non ci sentono. Quando chiediamo qualcosa ci rispondono: è la legge. Ma noi vogliamo sapere perchè, le leggi si possono cambiare se il popolo lo vuole". Ho incontrato questo gruppo di studentesse all'Università Statale, la madre di tutte le università iraniane, luogo di fermenti. E la loro falcoltà è la più avanzata di tutte: studiano legge e scienze politiche. Allora che volete? "Vogliamo spazio di negoziazione, vogliamo discutere, decidere insieme. Il nostro Paese è andato molto avanti rispetto ad altri Paesi islamici, ma non è ancora abbastanza. Non vogliamo soprattutto un mondo dominato dai maschi. Qui sono gli uomini che fanno e decidono tutto". Poi ti raccontano. Il chador è solo l'aspetto meno pesante, a molte piace portarlo. Ma è il resto che combattono, il rapporto nella famiglia (non parliamo del lavoro). A microfoni spenti ti spiegano. "Loro, gli uomini possono avere tutte le donne che vogliono, noi no, un uomo solo per tutta la vita, noi siamo proprietà assoluta e non dobbiamo neppure protestare. Non è giusto". La svolta, sicuramente, dipenderà da loro, dalle donne: come sempre in ogni parte del mondo. Qui hanno già cominciato.
In montagna
Tehran - Mi capita spesso. Quando sono in giro per Paesi molto distanti (culturalmente) da noi ho l'abitudine di avvicinarmi più possibile alle abitudini locali. Così stamattina con Norberto abbiamo deciso di passare la giornata festiva (il venerdì mussulmano) esattamente come la passano le famiglie di Tehran. Siamo andati in montagna. Non che poi sia molto diverso da noi: sono cresciuto al mito del "fuori porta". Qui, in cerca di refrigerio, si va verso le montagne che circondano la capitale. Non chiedetemi dove, ma so che era la strada per Lavasan e che siamo andati fuori per una cinquantina di chilometri. A differenza di molte famigliole che abbiamo incontrato, in onore alla nostra inguaribile borghesità, non abbiamo apparecchiato in uno dei tanti prati della zona, ma ci siamo fermati al primo ristorantino che ci piaceva, vicino a un fiumiciattolo. Scelta azzaccatissima. Abbiamo mangiato costolette d'agnello mai trovate così buone e colto ciliegie direttamente dall'albero, da noi privilegio di pochi. Abbiamo dunque celebrato degnamente la giornata di festa, prendendoci qualche ora di vacanza dopo una settimana di lavoro tutto sommato duro. Per stasera, lo dico in un orecchio, cercheremo un ristorante italiano. E' ora di soddisfare anche la voglia di spaghetti, nota malattia italiana. Dicono che ce ne siano almeno due ottimi e frequentatissimi.
Ahmadinejad: auguri a Napolitano
Tehran - Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha un sito personale che racchiude tutte le informazioni relative alla sua attività. Ho letto adesso una notizia che non conoscevo. President Ahmadinejad sent a message to newly elected Italian President Giorgio Napolitano felicitating him for his election. The Iranian president, in his message, referred to the "deep-rooted and old ties between Tehran and Rome" and said these could be the basis for greater, constructive interaction between the two countries. "The Islamic Republic of Iran is ready to cooperate with states, including Italy, to promote peace and justice in this world on a spiritual foundation," he said. Ha mandato insomma, è facilissimo da capire, un messaggio di congratulazioni a Napolitano augurandosi che i rapporti fra Italia e Iran siano sempre più stretti. In realtà, i rapporti sono stretti, soprattutto a livello commerciale ma non solo. C'è una vicinanza anche culturale. Basti pensare che ogni anno all'università di Tehran ci sono almeno cinquecento studenti che si iscrivono ai corsi di italiano. La nostra è la prima in assoluto fra le lingue straniere e ha superato anche l'inglese. Ahmadinejad invoca pace e giustizia. Che sia al centro, sempre, di un linguaggio comune. Da una parte c'è la politica, dall'altra la realtà di un Paese che ospita diecimila americani e, pensate, trentacinquemila ebrei. E le parole dunque non devono mettere paura.
Il bancomat
Tehran - Cerco di avere il quadro politico di una situazione estremamente complessa (e in evoluzione) e intanto, girando per la capitale, osservo (e ascolto) molto la gente, perchè forse entrando nella loro vita è più facile capire, come al solito, dove va l'Iran. Ogni giorno è una sorpresa. Convinto che qui fosse bandito uno strumento universale come la carta di credito mi sono reso conto che in realtà non sono usate quelle internazionali, specie quelle americane. Il motivo è semplice: i commercianti temono che all'interno di eventuali sanzioni possa esserci anche il blocco totale del deposito. Preoccupazione del resto legittima. Ricordo in Russia dopo il golpe: lì il nuovo governo si appropriò di tutti i conti correnti. Qui potrebbero essere gli Stati Uniti a bloccare l'incasso delle carte. Molti iraniani, infatti, hanno e usano la carta di credito, anche americana, ma per acquisti all'estero. Qui ci sono ma in moneta locale, in rials. Ed ecco lo sportello di un bancomat dove non è raro trovare la fila. Ah, benedetto mondo: quanto sei complicato.
Ecco perchè
Tehran - Una pompa di benzina. In uno dei Paesi produttori di petrolio, anche per capire l'interessamento del mondo occidentale, ho chiesto il prezzo del carburante. Sono rimasto, da automobilista massacrato dai costi, allibito dalle cifre. Qui un litro di benzina costa 80 ryals. Per capire la proporzione basti pensare che 1000 ryals valgono poco più di un dollaro e poco meno di un euro. Insomma, un litro costa da noi qualcosa come 2000 ryals, 2000 contro 80. Chi è bravo faccia la percentuale. Chi è maligno pensi perchè Bush trova tutte le scuse per buttarla in cagnara. L'Islam non c'entra niente. Siamo alle solite: c'entrano i soldi, come sempre.
Più calcio che nucleare
Tehran - Il villaggio globale permette naturalmente, da tempo, di stare tutti insieme. Così mentre leggo sulle agenzie di un viaggio prossimo del ministro degli esteri iraniano Mottaki a Roma dove chiederà l'appoggio di D'Alema, non posso che soffermarmi sulle altre notizie. Quelle che in qualche maniera ho dentro. Ancora buio sui fratellini di Gravina che ho lasciato di corsa per venire in Iran. I brutti venti che stanno soffocando la Somalia. Dopo calciopoli lo scandalo brutto dei Savoia, come dire che non ci facciamo mancare niente. Seguo distrattamente le vicende calcistiche mondiali (compresa la figuraccia degli azzurri): qui stasera festeggiano la batosta presa dall'Arabia Saudita, non li possono vedere, certo si parla più di pallone che di nucleare. E poi l'Iraq. Saddam condannato a morte, scontato. L'assassinio di Calipari archiviato, scontato anche questo. Almeno un'impennata d'orgoglio dei magistrati romani che hanno invece incriminato Mario Lozano per "delitto politico". Non serve a nulla ma quantomeno il marine che ha scaricato cinquantotto colpi sull'auto con la Sgrena non potrà venire a visitare la terra degli avi. L'ennesima impunità americana mi indispettisce e preferisco finire con la storia del povero gabbiano finito nei motori di un aereo a Rimini. Quasi uno di famiglia.
Ragazze iraniane, oggi
Tehran - Oggi sono andato al centro, sfidando il caldo. Munito rigorosamente di permessi. Il piccolo reportage potrebbe intitolarsi "caccia alla minigonna", ma darebbe l'idea di qualche obiettivo non esaltante e invece il tentativo (riuscito) era di dimostrare con le immagini che l'Iran non è il Paese buio e oscuro che qualcuno vorrebbe dipingere. Questa foto, e le altre che metterò nei commenti, sono assolutamente casuali. Mi sono messo su Valiè Asr, che è la via principale della città, la attraversa da sud a nord, e ho scattato tutto quello che mi capitava davanti. Questo è il risultato. Vita normale, vestiti normali, sorrisi, "struscio" come in qualsiasi altra capitale del mondo. E giovani, soprattutto giovani in giro. La politica può mischiare le carte, ma lo specchio reale della società è per le strade. (Per chi non lo avesse capito, queste sono le minigonne, cioè abiti corti sopra i pantaloni, quasi tutti jeans: e anche questo non è un segno da sottovalutare).
Quali sono i buoni
Teheran - Non è facile capire l'Iran. Ma so per certo che molti ne parlano in maniera sbagliata. Possedendo (almeno) due anime, basta prenderne soltanto una per non disegnare in maniera corretta un Paese dalla lunga storia e dai molti problemi. Sì, l'Iran è diviso a metà e il suo futuro dipenderà dalla scelta che verrà fatta, comunque dolorosa per la parte che non prevarrà. Parlando con ragazzi di Tehran, oggi, si discuteva proprio su questo. Sono giovani, portati verso l'apertura, ma dentro conservano retaggi di una cultura forte, difficile da estirpare in poco tempo. Si discuteva del ruolo della donna: ammettevano che la condizione femminile qui è ancora al Medioevo ma poi molto onestamente confessavano di non esser pronti per il cambiamento. Si discuteva della pena di morte: erano d'accordo sull'inciviltà della pena, però si dicevano convinti che per certi delitti non possono esserci sconti. E poi la religione. Loro la vivono in maniera tranquilla, ma sanno che ci sono altri giovani pronti a morire per Allah. Tutti quelli che ho incontrato sono assolutamente contro la guerra, qualsiasi guerra. Hanno sui trent'anni e, anche se da piccoli, hanno sfiorato quella lunghissima guerra contro l'Irak, per nessuna ragione vorrebbero conoscerne un'altra. Nessuno parla del nucleare e se gli chiedi della bomba atomica rispondono pronti: "Ma mica l'abbiamo". Abbiamo parlato di calcio, della sconfitta con il Portogallo, e anche dell'Italia. "Peccato che non avete battuto gli Stati Uniti, si meritano una lezione, in tutti i campi, si sentono i padroni del mondo". Però, già l'ho detto ieri, bevono tutti Coca Cola. McDonald non c'è ma i ragazzini fanno la fila a Star Burger che è la stessa cosa. Allora? Dove si va? Istintivamente siamo arrivati a un punto d'incontro. Bisogna andare avanti, verso il progresso, ma facendo forza sulla vostra cultura, gli ho suggerito, evitando le degenerazioni della nostra società. Vivere più comodi, insomma, al passo con i tempi, ma conservando i valori fondamentali. Certamente Tehran è una città deliziosa, dove si vive bene. Forse sul piano sociale stanno anche meglio di noi. Ci sono i problemi economici, soprattutto la piaga della disoccupazione giovanile, ma è il vero grande problema globale, dunque perchè sorprendersi? Io qui mi sento a casa, nonostante le differenze. E il sogno di questi ragazzi è di visitare l'Europa. Non sono nemici. Scrive Irshad Manji in un articolo linkato nell'altro commento: "Le vere armi di distruzione di massa sono quelle persone che hanno una fede incrollabile nell'imminente resa dei conti tra il bene e il male. Lasciato nelle loro mani, il mondo va verso uno scontro da Apocalisse". Ho conosciuto in questi anni troppe rovine per non sapere ormai che non ci sono buoni e cattivi. E non è detto poi che noi siamo i buoni e loro i cattivi. Il burka è una diavoleria, ma il velo qui è addirittura affascinante. Certamente (riflettiamoci) molto più di una minigonna. Ho detto ieri che c'è libertà assoluta sul web. Non è vero, ci sono siti inaccessibili. Ma non sono quelli politici, sono quelli porno. E venitemi a dimostrare che hanno torto loro. Qui, come dappertutto, ci sono ricchi e poveri, potenti e miserabili. Ma ancora non si parla di un ex re che scappa con quattro sacchi di soldi. Insomma, prima di giudicare, facciamoci un esamino di coscienza.
Chi ha detto che non c'è Internet?
Tehran - La prima notizia è che è più facile collegarsi qui che da Bari, dove stavo due notti fa. Ho il modem in camera, tutto gratis, nessuna limitazione, vado in giro come mi pare per il web. Scrivo al volo, ancora frastornato dal sonno, solo per rifarmi vivo con la tribù. Sto qui da poche ore ma gli spunti sono già tanti. L'Iran resta uno dei Paesi in assoluto più intriganti per un cronista che vuole capire dove va il mondo. Una realtà importante che sta di fronte a un bivio. Un pò mi sento al fronte e un pò a casa. Non che, insomma, sia tutto agevole. Per esempio per un giornalista televisivo non è così facile lavorare. Ci vogliono permessi su permessi, ma in fondo è capitato anche a New York dove sono stato nove ore in fila per essere accreditato ai tempi delle Torri Gemelle. Diciamo che l'handicap vero qui è la burocrazia, allucinante, ma noto l'intenzione specie da parte dei giovani di liberarsi di un peso. Paese di paradossi odiano gli Stati Uniti ma la moneta ufficiale è il dollaro, le sigarette preferite le Marlboro e la bevanda, naturalmente, la Coca Cola. Il problema vero è l'economia che va risanata,ma mi pare che pure questo sia un discorso comune. Altro paradosso è la voglia di immagine: da una parte vogliono rimirarsi all'estero, dall'altra ci sono le sparate devastanti. Oggi ho vissuto con loro il dolore, autentico, della sconfitta ai mondiali con il Portogallo. Anche il calcio puàò essere un passaporto, ma non è andata bene. Finisco queste note schizofreniche, istintive, con un'immagine che ho dentro. La piscina. Sotto la mia camera ho la vista di una piscina stupenda ma desolatamente vuota. Appena scarico le foto ve la faccio vedere. Mi è tornata alla mente quella del "Palestine", i discorsi con Enzo su questa strana vita da zingari. Ne parlavamo in Iraq e c'era lo stesso caldo asfissiante, c'era anche lì Norberto, come qui. Purtroppo però manca Enzo. Mi mancano i suoi occhi, ma non mi mancano le granate che ci piovevano in testa. Quando dall'aereo, scortato da due caccia, ho visto Teheran dall'alto quella distesa di luci mi ha ricordato, con terrore, i lampi di guerra su Baghdad. Mai più, per nessuna ragione, voglio altri lutti e altre rovine.
I ragazzi di Teheran
In un momento storico in cui gli occhi del mondo sono puntati sull’Iran, il racconto di un giornalista italiano mostra un Paese diverso da quello ritratto dai media europei e nordamericani, in una affascinante narrazione attraverso gli occhi dei giovani iraniani. Chador e tagli punk, feste clandestine e preghiere del venerdì, musica rock e misticismo religioso, poesia sufi e blog su Internet, disoccupazione e voglia di fuggire all'estero. Il 70% della popolazione iraniana ha meno di 30 anni e non ha partecipato alla rivoluzione che ha dato origine alla Repubblica islamica. È una generazione nata durante la terribile guerra con l'Iraq e cresciuta in un contesto economico e sociale difficile. Orgogliosi della loro identità culturale e religiosa, ma insofferenti nei confronti di ogni regime, saranno proprio i giovani iraniani a decidere il destino di una nazione, giunta a un punto di non ritorno. Il ritratto di un Paese unico attraverso le voci dei ragazzi di una gioventù bella e vivace. Antonello Sacchetti " I ragazzi di Teheran" (Infinito edizioni.Prefazione del giornalista iraniano Siavush Randjabar-Daemi
Ritorno in Iran
Bambini
Il lungo viaggio di Monir
“Mi sono trasferita in Italia dopo il divorzio”. A sottolinearlo la pittrice iraniana Monir Mirabian. “Era il novanta – spiega con un filo di voce – avevo studiato a ll’istituto di Belle arti di Assisi e poi decisi di tornare nella mia terra a Teheran. Il matrimonio i figli e poi il divorzio con mio marito. A quel punto nella mia Iran non potevo più stare in quanto ero una donna divorziata”. Si ferma un attimo per prendere respiro. A stento riesce a trattenere le lacrime. “Nel nostro paese – sottolinea – una donna che lascia il marito non è ben vista. Le regole sono molto dure e rigide. La legge non prevede l’affidamento dei figli alla madre. Così la decisione di lasciare tutto e venire in Italia. Ho deciso l’Umbria perché c’ero vissuta. I primi tempi sono stati duri. Poi siamo riusciti ad andare avanti. Tanti sacrifici e tante rinunce ma ce l’abbiamo fatta”. Ora dipinge quadri su richiesta ama i ritratti e anche i fiori. Monir Mirabian attraverso il linguaggio figurativo delle sue opere ha in alcuni quadri rievocato tutti i travagli e le sofferenze del suo popolo e della sua terra affrontando temi quali la nostalgia, la ricerca di libertà e d’amore. L’Iran è stata ed è una terra ricca di storia e tradizioni ma allo stesso tempo anche segnata dalla guerra e dalla rivoluzione. Tutto questo l’artista l’ha tradotto servendosi della pittura. Una comunicazione immediata che lascia trasparire tutti i sentimenti dell’artista nel momento in cui l’ha dipinto. Simona Maggi
Edoardo, il martire
L'Iran fa quadrato e non arretra di un passo. Stavolta è la l'ayatollah Ali Khamenei, suprema autorità religiosa del paese, che rilancia il no ad ogni marcia indietro sul suo programma nucleare: "Non accetteremo alcuna forma di oppressione e ingiustizia da parte di alcuno e di alcuna potenza". E non si placa la protesta contro l'Italia: una nuova manifestazione degli studenti iraniani si svolgerà davanti all'ambasciata italiana a Teheran il 15 novembre prossimo "nell'anniversario del martirio di Edoardo Agnelli". Secondo la versione di organizzazioni del regime iraniano, il figlio di Gianni Agnelli, scomparso cinque anni fa, si era convertito all'Islam sciita ed è morto non suicida, bensì vittima di un "complotto sionista" per impedirgli di ereditare il controllo della Fiat. "Se le superpotenze - dice Khamenei - intendono toglierci i nostri diritti, il popolo iraniano non accetterà alcuna forma di oppressione e di ingiustizia da alcuno o da alcuna potenza". E quando parla di diritti, l'ayatollah pensa a continuare il programma nucleare, che secondo Teheran servirà solo a produrre energia elettrica. 4 novembre 2005
Non riesco a dimenticare Edoardo Agnelli, ragazzo ricchissimo e solissimo. L’ho conosciuto a Malindi e in qualche maniera gli sono diventato amico perche’ ho raccolto la sua disperata voglia di parlare. Un ragazzo poeta, lui figlio del piu’ grande produttore d’auto d’Italia. Quando "Dodi" e’ morto, buttandosi giu’ da un ponte, non mi sono meravigliato.
Gli Stati "canaglia"
Mi sembra di sognare. Un incubo. Posso sbagliare ma io scrivo quel che vedo. E quel che vedo è che Potenze con immensi arsenali atomici vogliono impedire a un Paese di sviluppare il nucleare civile, per diversificare le proprie fonti di energia, come ha sempre dichiarato il governo di Teheran e com'è dimostrato dal fatto che per tre anni gli iraniani hanno accettato le ispezioni dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica. È grottesco vedere il presidente francese Jacques Chirac dare, con la consueta prosopopea gallica, lezioni di morale nucleare all'Iran stando seduto su un arsenale atomico. È come se a noi italiani venisse impedito di riaprire la centrale di Caorso, se lo ritenessimo opportuno per la nostra politica energetica, perché ipoteticamente, in futuro, potremmo costruire, nonostante i controlli dell'Aiea, la bomba atomica. Dice: ma il presidente iraniano Amhadinejad ha negato l'Olocausto e il diritto di Israele a esistere in Palestina. Questo è un altro discorso. Nello specifico, cioè nella questione del nucleare, l'Iran si è mosso, nel pieno rispetto della legalità internazionale. E al vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, che, a Monaco, faceva notare ad Angela Merkel (che aveva paragonato senza pudore la finora ipotetica ascesa dell'Iran nello scacchiere mediorentale a quella dei nazisti negli anni Trenta) che dopo il deferimento dell'Iran all'Onu il governo di Teheran sarà costretto ad applicare la legge e a interrompere la collaborazione con l'Aiea, come ha fatto in questi anni, la cancelliera tedesca ha risposto arrogantemente "allora sarà il caso di cambiare la legge". L'Iran vuole, fino a prova contraria, il nucleare civile come suo sacrosanto diritto e ha rispettato finora le legalità internazionali in materia di energia atomica. Cosa che non hanno fatto alcuni suoi vicini come Pakistan e Israele che si sono costruiti la bomba in violazione del trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Perché l'Onu non ha mai mandato ispettori in Israele - e se avesse osato richiederlo avremmo sentito una qualche risposta sarcastica del governo di Tel Aviv a difesa della sua integrità territoriale - nel deserto del Neghev dove quello Stato ha costruito una centrale nucleare atomica bellica pienamente operativa? È evidente che questo continuo, arrogante, "doppiopesismo", questa protervia occidentale, per cui noi siamo il Bene e possiamo possedere arsenali con decine di migliaia di bombe atomiche mentre gli altri, poiché sono il Male, non possono nemmeno farsi, in base a un processo alle intenzioni, il nucleare civile, esaspera le opinioni pubbliche musulmane e arabe e favorisce, anzi, bisogna pur ammetterlo, dà buone ragioni, al loro integralismo ed estremismo. Probabilmente la vicenda delle vignette blasfeme sarebbe passata quasi inosservata se non si fosse inserita in questo contesto di arroganza occidentale. Dove vogliono arrivare gli occidentali, e in particolare gli americani, con questa politica tremendamente aggressiva? Prima c'è stato l'Iraq, accusato di possedere "armi di distruzione di massa che proprio l'Occidente gli aveva fornito perché potesse ammazzare meglio sciiti e curdi ma che non aveva più. E l'abbiamo attaccato, invaso, bombardato, occupato e, con elezioni ampiamente falsate dalla presenza di 160mila soldati stranieri, vi abbiamo messo un governo da noi controllato. Adesso nel mirino c'è l'Iran che non possiede alcuna "arma di distruzione di massa", ma che potrebbe averla in futuro. È la teoria della "guerra preventiva" di George W. Bush che significa in realtà guerra permanente contro chiunque non adempia i desiderata dell'Occidente e per scatenare la quale basta il semplice sospetto. Fanno accapponare la pelle le dichiarazioni di Marvin Cetron, consulente della Cia e dell'Fbi, che esplicitano le intenzioni dell'Amministrazione Bush: "Prevedo un attacco militare internazionale a Teheran entro qualche anno, bisogna bombardare Teheran. Un attacco non unilaterale, da parte solo di Usa o Israele, ma multilaterale, una coalizione con membri europei. E non breve e solo a titolo dimostrativo". L'unica alternativa che mr. Cetron concede è un cambio di regime a Teheran: "Come gli iraniani insorsero contro la Scià nel 1979 così potrebbero insorgere contro i fanatici religiosi che li governano. I governanti iraniani hanno enormi problemi, dalla gestione dei giovani in fermento alla povertà... Non bisogna esitare a favorire un cambiamento di regime se necessario con finanziamenti o con azioni clandestine" (Intervista al Corriere della Sera, 5/2/2006). Insomma un bel colpo di stato, nella peggiore tradizione americana. Mr. Cetron, anche se si dice reduce da una visita nei Paesi islamici, dimostra di non conoscere la realtà iraniana. Quelli contro cui gli iraniani dovrebbero ribellarsi, come nel 1979, sono esattamente gli eredi della rivoluzione khomeinista. E quindi questa volta non si tratta di abbattere un feroce dittatore, come lo Scia, sostenuto, oltre che dagli americani, da una sottilissima striscia di borghesia iraniana iper ricca, che rappresentava meno del 2\% della popolazione, ma di abbattere un governo che, come hanno dimostrato le elezioni, gode di un vastissimo appoggio popolare. E sarebbe bene smetterla con la fola, con l'"illusion", con la fiaba che amiamo raccontarci in occidente che i giovani sono contro questo regime. Giovani e giovanissimi erano i pasadaran che sostenevano Khomeini e giovani e giovanissimi sono gli iraniani che appoggiano Amhadinejad, visto che in quel Paese due abitanti su tre hanno meno di trent'anni e Amhadinejad ha vinto le elezioni. Ma, a parte questo, è terrificante ciò che sta uscendo fuori dal "vizio oscuro" dell'Occidente. Un consigliere di Bush dichiara apertamente, tranquillamente, che bisogna bombardare l'Iran o organizzarvi un colpo di Stato, Donald Ramsfeld, ministro della Difesa americano, afferma che l'Iran è "il primo Stato del mondo sponsor del terrorismo", senza avere lo straccio di una prova, Angela Merkel, con una coda di paglia lunga qualche chilometro, paragona l'Iran, che finora non ha mai aggredito nessuno ma semmai è stato aggredito, da Saddam Hussein, col nostro determinante appoggio dopo il 1985, alla Germania nazista; Chirac minaccia di utilizzare la "force de frappe" nucleare francese contro l'Iran mentre i missili israeliani sono costantemente puntati contro quel Paese. E allora non bastano alcuni estremismi puramente verbali del presidente iraniano Amhadinejad per fare il gioco delle tre tavolette, per scambiare l'aggredito con l'aggressore e per mistificare su chi è che oggi sta veramente mettendo in pericolo la pace nel mondo, disposto a tutto, a bombardare, a innescare colpi di Stato e a usare persino la bombe atomica contro un Paese che non ce l'ha ma per il quale basta solo il sospetto che abbia l'intenzione di farsela per legittimare ogni violazione del diritto internazionale, ogni sordidezza, ogni violenza, anche la più estrema. Chi sono, allora, gli "Stati canaglia"? Massimo Fini
Tra passato e futuro
Bandar Abbas - Una lunga barba bianca. Una pelle olivastra piena di rughe. Novantaquattro anni passati a lottare per una democrazia che di fatto non è mai arrivata. E’ Terancy lo conosco da ventiquattro anni. Nella sua casa si sentono degli intensi odori di incensi. Mi riconosce. Mi accoglie nel salone dove al centro c’è un tappeto dai toni rossi tendenti all’amaranto. Mi viene incontro seduto su una sedia a rotelle. Mi invita a sedermi in terra. Mi fissa con occhi vitrei. Mi invita a guardare fuori dalla finestra il golfo persico. I colori vanno dal turchese al blu intenso. La sua voce è fioca sembra che faccia fatica a parlare. Fissa il vuoto il nulla. “I miei occhi – spiega – hanno visto la rivoluzione del 1979. Ho conosciuto lo Scià. Voleva cambiare volto all’Iran. Non ce l’ha fatta. Poi l’era Khomeini e preferirei non commentare. Ho visto la mia terra retrocedere culturalmente. I cittadini erano costretti a vedere soltanto il nostro canale e tutte le altre reti televisive erano oscurate. Poi c’è stato un passo in aventi con il successore. Adesso i miei occhi sono costretti a vedere nuove cose. Le mie orecchie ad udire nuove prese di posizione. Sono sicuro comunque che il presidente Mahmoud Ahmadinejad non ha intenzione di arrivare ad uno scontro diretto con l’occidente”. Si ferma un attimo. Sorseggia il suo te. Poi riprende a parlare a cercare di far capire il suo mondo e le varie sfaccettature. “Vedete per noi esistono molti principi. Il nostro presidente durante la campagna elettorale aveva parlato di continuare il programma dell’arricchimento dell’uranio. Lui non vuole venir meno alle promesse quindi deve continuare. Sa benissimo che quello che ha dichiarato avrebbe portato ad una frattura tra il nostro Stato e il mondo. Ma sa anche bene che di fatto non si spingerà oltre certi limiti. Se ci sarà un tavolo in cui si discuterà dell’Iran è naturale che poi ogni Stato dovrà votare. Molti di quelli presenti all’Unione europea hanno di fatto dei rapporti con noi. Potrei fare un esempio la Russia che ci sta dando una mano per la costruzione di una centrale nucleare. Sono convinto che è un modo quello del presidente di far capire al mondo l’importanza dell’Iran e di considerarla come mai nessuno l’ha presa in considerazione”. Simona Maggi 21 novembre 2005
Il rischio nucleare
Tehran - Il nucleare in Iran è sempre un argomento di grande interesse e in continua evoluzione. Dopo la riapertura della centrale di Isfahan i progetti sembrano continuare. Adesso si parla che la centrale nucleare di Bushehr dovrebbe essere ultimata entro il prossimo 2006. Un progetto iniziato negli anni Settanta con l’aiuto delle imprese tedesche Siemens e Aeg-Telefunken ma subì quasi immediatamente una battuta d’arresto dovuta prima alla rivoluzione islamica del 1979 e poi all guerra Iran-Iraq negli anni Ottanta. I lavori poi hanno ripreso il via nel 1995 con l’appoggio della Russia. Qualche giorno fa la stessa Russia ha criticato la decisione iraniana di riprendere i programmi di arricchimento dell’uranio e ha invitato il governo degli Ayatollah ad includere questo aspetto nei negoziati con la troika. Tuttavia Mosca resta contraria a un deferimento della questione al consiglio di sicurezza dell’Onu, come sollecitato dagli Usa. Teheran dal canto suo non sembra voler abbandonare il progetto del nucleare anzi vuole produrre energia attraverso il nucleare per poter esportare più gas e petrolio. L’obiettivo resta quello di realizzare nei prossimi vent’anni venti nuove centrali nucleari. Ad Arak intanto è in costruzione una fabbrica di acqua pesante, che dovrebbe essere realizzata entro 2009, che ufficialmente servirà per alimentare un reattore nucleare per fini scientifici. Questo comunque preoccupa molto l’Aiea, l’Unione Europea e Usa perché il reattore sarà in grado di produrre tra gli otto e i dieci chili di plutonio utili per la costruzione della bomba atomica. Tutto ciò è soltanto un ipotesi e al momento sull’impiego c’è solo la certezza della realizzazione di una fabbrica di acqua pesante. Il nucleare continua a far discutere ampiamente e un accordo non sembra essere vicino. Continua a dividere e ogni giorno le notizie che giungono sono discordanti tra di loro. Simona Maggi 21 settembre 2005
La città d'arte
Bam è un'antichissima città, citata anche nel «Milione» da Marco Polo, andata distrutta più volte durante i secoli e poi ricostruita a partire dagli anni Cinquanta. L'oasi nelle sue vicinanze è famosa in tutto l'Oriente per i suoi datteri. Valerio Zurlini negli anni Settanta volle Bam come set per rappresentare la «Fortezza Bastiani» nel suo film tratto dal libro di Dino Buzzati «Il deserto dei Tartari».Il quartiere storico di Bam venne costruito con argilla rossa del deserto Dasht-e-Kavir che la circonda con sue ultime propaggini, ha 28 torri e un doppio muro che difende la cittadella, situata sul punto più alto. Chiamata anche «la città morta» perché rimasta disabitata accanto alla Bam nuova. L'abitato è formato da case erette con grandi mattoni di argilla mista a paglia e altri materiali organici, che presentano un tetto a cupola. Intorno e fra le case - molte di esse in rovina - vi sono eucalipti e palme da datteri. La nascita dell'antica Bam risale a qualche secolo prima di Cristo, ma gran parte di ciò che è rimasto appartiene al periodo safavide (1502-1722). Fino allora era un prospero centro commerciale, perché era una tappa sulla via della seta, ma anche meta religiosa per un tempio dedicato a Zoroastro. Gli abitanti, che erano 13 mila, abbandonarono la città dopo un'invasione afghana nel 1722. Fuggirono di nuovo nel 1810 durante un'altra invasione. Fino agli anni Trenta fu usata come caserma per l'esercito. A partire dagli anni Cinquanta Bam è stata restaurata e ricostruita, ma il processo è ancora in corso. La città nuova è stata invece costruita nel 1850 non lontano dalla fortezza, in una pianura fertile, che produce frutta. Ha poco meno di 200 mila abitanti. Un patrimonio per l’umanità
Quel gioiello distrutto
Bam - Era tempo che volevo visitare Bam. Intorno il deserto con le sue oasi, palme e datteri. Un frutto che quando ho vissuto in Iran mi divertivo a raccogliere arrampicandomi sugli imponenti fusti dell’albero per poi mangiarli. Poi come per magia ti trovi davanti arroccata una città con la sua storia spezzata dal terremoto del 26 dicembre del 2003. Adesso la città dopo il sisma sta tornando alla rinascita. Un gioiello di argilla rossa. Un tempo meta di turisti. Siamo saliti fino a sopra per visitarla. Ti senti rapito e catturato da un gioiello naturale della natura. Un nodo alla gola all’improvviso che non mi permetteva di parlare. Poi mi hanno invitata a visitare quello che è stato recuperato. I lavori sono quasi a metà. Ancora c’è molto da fare. Non ci sono comunque parole per poterla descrivere. Mi hanno raccontato che di fatto è ed era una zona amata dai contrabbandieri per smercio di droghe e anche di videocassette “proibite”. Per un attimo davanti alla “rocca” ho chiuso gli occhi ed ho immaginato cosa realmente nasconde una città bella ma che è avvolta nella nebbia del mistero. Simona Maggi 3 novembre 2005
Rapporto dall'Iran di Ahmadinejad
Tehran - Questa mattina ho fatto un giro per la città. Tutto sembra diverso. Eppure il fascino è sempre lo stesso di qualche mese fa. E’ cambiata naturalmente qualcosa. Una trasformazione sottile che già era nell’aria quando il presidente Mahmoud Ahmadinejad incontrò il leader dell’Iraq. Ora sia nei bazar che nelle strade l’unico argomento di discussione è l’affermazione fatta dal presidente Mahmoud Ahmadinejad: “Vorrei vedere Israele cancellata dalla carta geografica”. Un fatto che in questo momento sta creando una spaccatura tra l’occidente e il mondo arabo. Inoltre il presidente ha ribadito a chiare note che vuole continuare il programma del nucleare. “Noi – spiega – non abbiamo mai negato agli ispettori di visitare le nostre centrali. Il nostro scopo è quello di usare l’uranio per scopi pacifici”. Il presidente non sembra assolutamente fermarsi o scendere a compromessi e prosegue per la sua strada. A Teheran tutti parlano e tutti sono consapevoli dei rischi che potrebbero venirsi a creare ma condividono le idee del leader. Ho camminato per la città in cerca di notizie per capire cosa realmente stia accadendo. C’è chi parla di una crisi all’interno del paese chi invece di programmi politici: far diventare l’Iran importante a livello mondiale. Mi sono trovata in piazza Enghelab, conosciuta per gli scontri tra studenti, a ridosso della città universitaria di Teheran. La mia attenzione è stata catturata da due ragazzi. Carnagione olivastra. Capelli neri come l’ebano. Vestiti in maniera semplice: camicia e pantalone. Sotto il braccio avevano alcuni quotidiani locali. Si guardavano intorno come se avessero paura di essere ascoltati. Parlottavano tra di loro ma l’argomento era chiaro il soggetto era Mahmoud Ahmadinejad. Ho cercato di capire. Il nucleare sostenevano che era un progetto di cui il presidente aveva ampiamente discusso durante la campagna elettorale. Inoltre sostenevano che la maggior parte dei cittadini è con il presidente in tutte le sue decisioni. Intanto c’è attesa per nuove dichiarazioni del presidente. Simona Maggi 1 novembre 2005
La galleria di Parchin
Parchin - L’Iran nasconde siti atomici in una “galleria lunga e profonda”, appositamente costruita a Parchin (sud-est di Teheran) dove l’uranio verrebbe arricchito con tecnologie laser. La galleria è a sua volta coperta da costruzioni per meglio occultarla. La notizia è stata data qualche mese fa dal presidente della Commissione esteri del Consiglio Nazionale della rivoluzione iraniana (Cnri), Mohammad Mohdesin che ha invitato l’Unione europea a chiedere immediatamente a Teheran la possibilità di una ispezione a Parchin. Basandosi su “informazioni fondate ricevute dalla resistenza iraniana”, Mohdesin sostiene che l’Iran sta “procedendo velocemente” nell’attuazione di progetti per la produzione di plutonio. In sostanza, denuncia il Cnri, “il regime lontano dagli occhi dell’Aiea sta terminando la fabbrica di acqua pesante con cui produrre circa 10 kg di plutonio, utile per la bomba atomica, ogni anno”. Teheran, che ha in corso trattative da oltre un anno e mezzo con Francia, Germania e Gran Bretagna, ha sospeso temporaneamente le attività per dotarsi di un ciclo di arricchimento dell’uranio - che puo’ essere usato sia per alimentare centrali sia per costruire ordigni atomici - ma ha sempre detto di non volere rinunciarvi definitivamente. Le autorità di Teheran hanno fornito informazioni “non sufficienti” sul livello tecnologico cui gli scienziati iraniani sono arrivati nell’arricchimento dell’uranio: la denuncia è del direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Nucleare (Aiea), Mohamed ElBaradei, secondo il quale “l’Iran ha fornito alcune documentazioni ed informazioni supplementari, che non sono ancora sufficienti a rispondere a diverse domande in sospeso”. Nel riferirne al Consiglio dei Governatori dell'Aiea, ElBaradei ha annunciato che intende chiedere alle autorità di Teheran di agevolare “ulteriori indagini sui siti di Parchin e Lavizan-Shian”: si tratta di siti militari, dove gli ispettori dell’Aiea avevano già svolto alcune verifiche, per poi esserne respinti quando si ripresentarono per un’ispezione successiva. La questione si impernia sull’acquisizione di centrifughe P-2 per l’arricchimento dell’uranio, di cui l’Iran si è dotato: sono centrifughe più veloci di quelle tradizionali, in grado di produrre combustibile per la produzione di energia elettronucleare per utilizzazioni civili, ma anche di fornire il nucleo radioattivo per le reazioni a catena di bombe nucleari. “Il mese scorso - ha detto ElBaradei – l’Aiea ha ricevuto da un altro stato membro un quantitativo di parti di centrifughe, sulle quali noi avevamo svolto campionamenti ambientali”. Lo “stato membro” in questione è il Pakistan, a quanto si apprende da funzionari dell’Aiea. Ed era stato il “padre” della bomba atomica pakistana, Abdul Qadeer Khan, a vendere all’Iran le centrifughe, che sono macchine utilizzabili per rendere più puro l’uranio da impiegare nelle centrali elettro-nucleari civili, o nelle bombe. Simona Maggi 2 agosto 2005
Dove la sabbia è ricamata
Bandar Abbas - Non ho rinunciato a far conoscere a mio figlio Bandar Abbas. Ho vissuto in questa terra per tre anni. L’ho amata e allo stesso tempo l’ho anche odiata. Il tempo sembra essersi fermato. Ho corso con mio figlio a piedi scalzi su quel fazzoletto di sabbia dove andavamo sempre con mio padre. Ad un certo punto lui si è fermato fissava la sabbia e mi ha detto: è ricamata. Effettivamente sembra che sia così invece sono i paguri che lasciamo il segno del percorso che tracciano. Poi abbiamo fatto il bagno ancora più stupito: “Mamma l’acqua è calda”. Poi siamo andati all’isola di Kish un paradiso terrestre, quelli che si vedono soltanto sui film. L’acqua è cristallina e ti fanno compagnia i pesci quando nuoti. Alla fine non mi sono di certo persa il tramonto persiano. Il sole scende e sembra perdersi nel mare. Voglio anche darvi alcune informazioni tecniche: Bandar Abbas si affaccia sul golfo persico e guarda Dubai. Il suo porto accoglie sia imbarcazioni mercantili che pescherecci. La sera sembra una passerella in cui tutte la barche fanno ritorno per passare la notte. La Persia è storia presente e passata e fascino. Anche perché spesso Bandar Abbas era in passato meta di scambio merci e anche di contrabbando. Era semplice uscire dall’Iran e andare a Dubai, in quanto non era richiesto il visto d’ingresso, acquistare stoffe, vestiti, pietre preziose e poi rientrare a con il buio e vendere quello che si era comprato ad un prezzo nettamente maggiore. Il mio viaggio comunque prosegue in questa terra fatta di volti, colori e odori difficili da dimenticare. Simona Maggi 17 luglio 2005
Nella magia di Shiraz
Shiraz - Oggi siamo stati a Shiraz: si trova a sud a circa 900 chilometri da Teheran. Siamo partiti all’alba con un aereo privato. Abbiamo visitato la città. Pensare che un tempo è stata la capitale dell’Iran. Ho portato mio figlio a visitare il quartiere reale degli Zand. E’ rimasto affascinato nell’ascoltarmi mentre gli raccontavo piccoli frammenti di storia. A Shiraz nacquero e vissero i due poeti persiani più famosi, Hafez (1324-1389) e Sa’di (circa 1270-1291) ed entrambi hanno qui il loro mausoleo. Abbiamo mangiato del ciolo kababe kubide (riso e spiedini di macinato). Poi molto gentilmente ci hanno detto nusce gian che in farsi (persiano) significa buon appetito. Per noi domani è festa, se ce la faccio andiamo a Bandar Abbas si affaccia sul golfo Persico e davanti guarda Dubai. Ho voglia di camminare tra i bazar e fare un bagno in quella spiaggia che per arrivarci bisogna attraversare una fetta di deserto. Simona Maggi 15 luglio 2005
I tappeti persiani
Varamin - Oggi siamo stati a fare un giro fuori Teheran. La nostra meta è stata Varamin. E’ un villaggio a circa cento chilometri dalla capitale iraniana. Qui si fanno i tappeti. Gli abitati li annodano manualmente aiutandosi con un telaio. I telaio è verticale, la trama e l’ordito sono in fili di cotone molto ritorto. Il nodo è del tipo farsibaft e la densità varia da 3500 a 5500 nodi per decimetro quadrato. Mio figlio è rimasto incantato era entusiasta di questa esperienza. Poi abbiamo mangiato seduti in terra con gli abitanti del villaggio. Ci hanno offerto un pasto umile ma buono: del couscous. Per loro ma anche per noi è stata una festa e poi siamo riusciti a comunicare abbastanza bene anche se il mio “farsi” non è perfetto grammaticalmente. Simona Maggi 14 luglio 2005
lunedì, luglio 03, 2006
Ecco la centrale di Natanz
Natanz- Una montagna rocciosa e spoglia è la sede della centrale di Natanz in Iran. Tutt’intorno alberi e moschee quasi per nascondere una verità che non deve essere svelata. Il maestoso edificio in cemento armato racchiude all’interno anni di storia e lotte tra lo stesso Scià e Komeni. Soltanto nel 2002 la verità: 18 metri sotto terra l’esistenza di un impianto di uranio. Cinque ore di viaggio per raggiungere la centrale: 250 chilometri da Teheran. Per poi vedere con i propri occhi una centrale disposta su due livelli sottoterra e una sala vuota progettata per ospitare 50.000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Un viaggio interminabile, poi la scoperta di un mondo diverso di cui tutti parlavano ma che nessuno aveva mai visto. Sono anni che chi vive nei villaggi a pochi chilometri di distanza era al corrente della verità ma nessuno ha mai avuto il coraggio di parlare. Quando si chiede al popolo dell’esistenza della centrale fanno spallucce e fingono di non comprendere. Un argomento tabù per cui è meglio il silenzio. Un mutismo che dura da anni. Chissà ancora l’Iran quanti segreti conserva che forse non saranno mai svelati. Ricchezze che usate male potrebbero servire per la costruzione della bomba atomica. Comunque c’è chi rassicura e sostiene che dal momento in cui hanno svelato l’esistenza non può essere usata contro il mondo. Un territorio avvolto nella nebbia del mistero e ancora tanti punti interrogativi. Simona Maggi 12 aprile 2005
La sfida di Laleh
Gli uomini la snobbano come un fenomeno da baraccone. Le sparute rivali dicono che vince solo perché è raccomandata. Lei scrolla le spalle, passa dal velo al casco e batte tutti. Quando glielo permettono. Perché per correre con i maschi «la piccola Schumacher» deve chiedere un permesso speciale. È successo qualche giorno fa, una gara organizzata allo stadio Azadi di Teheran dalla scuderia Proton. Categoria gran turismo, 13 piloti in pista. Laleh Seddigh e gli altri. Come è andata lo vedete dalla foto pubblicata nei commenti. Su quel podio triste, la piccola Laleh è sul gradino più alto. Ha la faccia di chi sembra scusarsi. Scarpette scamosciate, la tuta rosso corsa. Nascosta. Per la premiazione ha dovuto indossare una palandrana scura. E rimetter si il velo. Eppure, anche abbigliata come prescrivono gli ayatollah, la tv non ha mandato in onda le immagini della «piccola Schumacher» vittoriosa. Sugli spalti invece, sulle tribune riservate alle donne, gran tifo. Come se «la piccola» avesse vinto un mondiale di Formula 1. 24 marzo 2005
Ricordi
Teheran - Fervono i preparativi per il capodanno iraniano mentre a Bandar Abbas due persone sono state impiccate. Un vero contrasto paragonabile ai contrasti delle spezie che usano per i cibi. Ebbene si’, in questo Paese ancora esiste la pena di morte. Questa notizia mi ha fatto ricordare quando vi ho assistito per la prima volta. Mi trovavo a Bandar Abbas. Vivevo con i miei genitori nel campo italiano. Frequentavo la prima media. La mattina andai a scuola e l’insegnante di Farsi disse che voleva portarci in città. Tutti pensammo che era un modo per evitare le lezioni. Invece lo spettacolo fu peggiore. Prendemmo l’autobus, vecchio, pieno di polvere. Attraversammo una strada altrettanto polverosa. Ci sorpassavano altri pullman pieni di gente che andava in città. Pensammo che forse c’era una festa. Eravamo entusiasti, non vedevamo l’ora di arrivare. Appena giunti in città scendemmo e l’insegnante ci fece cenno di seguirla. Attraversammo le stradine del centro, il mercato. Rimanemmo colpiti dai molteplici colori della frutta. Ad ogni passo ci chiamavano per offrirci le delizie. Appena giunti nella piazza principale il terrificante spettacolo. Un uomo e una donna impiccati. Giustiziati perché amanti. Un atto d’amore che Iran si paga con la vita. Questo è soltanto un esempio: basta una contravvenzione non pagata per finire sotto processo. Una realtà tanto diversa dalla nostra e difficile da comprendere, se non la si vive. Simona Maggi 17 marzo 2005
La forza di Shirin
Nobel per la pace all'iraniana Shirin Ebadi. Avvocato, militante per i diritti delle donne e dei bambini, si trova attualmente a Parigi. Nel giugno 2000 venne arrestata e condannata a cinque anni di bando dai tribunali islamici iraniani per aver difeso gli studenti arrestati che protestavano contro il regime clericale khomeinista. "Sono molto felice e orgogliosa", ha commentato a caldo la vincitrice in una dichirazione telefonica da Parigi alla tv norvegese, "è un'ottima cosa per me, un'ottima cosa per i diritti umani in Iran ed è un bene per la democrazia e soprattutto per i diritti dei bambini in Iran". Shrin Ebadi, 56 anni, è stata la prima donna a divenire giudice in Iran (1974). Ma cinque anni dopo, con la vittoria della rivoluzione khomeinista e l'avvento della repubblica islamica, fu costretta a lasciare l'incarico in quanto gli imam sciiti decretarono che "le donne sono troppo emotive per dirigere un tribunale". 10 ottobre 2003
La moschea
Almeno 35 persone sono rimaste uccise e oltre 200 ferite per un incendio divampato in una moschea del centro di Teheran. Secondo la televisione iraniana, l’incendio, scoppiato nella moschea di Arg, sarebbe stato innescato da un corto circuito nell’impianto elettrico. Le fiamme si sono alzate mentre centinaia di fedeli partecipavano ai riti serali nell’edificio sacro. La moschea in fiamme è prossima allo storico Palazzo Golestan. 14 febbraio 2005
In quella moschea ci sono andato, l'anno scorso. Mi meravigliai quando chiesi all'interprete, per scrupolo: ma si puo' entrare? E lui: si', naturalmente. Molto bella, e soprattutto molto affollata. Eravamo in centinaia, non c'era un millimetro di spazio. Seguii gli altri e mi ritrovai davanti alla tomba di un imam. La venerazione era grande. Erano talmente tanto presi con la preghiera, alcuni urlavano, che nessuno si accorse che scattai questa foto. Lo feci, in realta', con rispetto. Avevo voglia di catturare un attimo comunque raro per noi "infedeli". Guardavo tutti quei fedeli negli occhi e cercavo di capire la loro grande, esasperata religiosita'. Con curiosita', forse anche con un pizzico di invidia. Non capii, in realta', molto.
I cigni di Teheran
Teheran - Ancora neve. E' bello per una volta fare i turisti, specie dopo l'inferno di Bam. Tehran e' una citta' molto gradevole. E ricca. Ricca di storia, a cui gli iraniani tengono molto: difatti e' ben conservata. Visito il museo dei tappeti: ed e' fantastico rivivere la storia di un Paese attraverso disegni e tessuti. Poi vado al museo archeologico ed e' emozionante vedere, toccare "cose" anche di seimila anni fa. Capisco cio' che ci unisce: il fatto di avere un passato. Visito anche il palazzo reale grazie alla gentilezza di Soehila. Adesso il palazzo e' disabitato, ci sono solo i cigni ad abitarlo ma mi ricorda la storia di Soraya. Vado anche a visitare la tomba di un iman e mi sorprende che un infedele possa entrare in quel luogo di culto. Poi, alla sera scorpacciata di kebab in un ristorantino da mille e una notte. Che peccato che il mondo sia sempre in guerra. E che certi patrimoni non siano di tutti. 3 gennaio 2004
L'esodo
Bam - E’ il momento della grande fuga. Chi puo’ se ne va. Oggi ho visto scene da esodo. Raccattano quel poco che hanno e vanno via in cerca di salvezza. Qui e’ tutto distrutto. Bambini. Sono sempre la parte piu’ bella dell’umanita’. Il sorriso di un bambino per qualche biscotto vale qualsiasi sacrificio.Internet in Iran esiste ma non funziona. Forse non e’ un caso.E’ brutto rientrare in stanza e vedere calcinacci per terra. E’ brutto sentire ancora scosse. E’ brutto pensare che domani sara’ l’ultima notte dell’anno. Cercheremo di inventarci qualcosa per essere meno tristi. E meno lontani. 30 dicembre 2003
Per noi e’ gia’ il nuovo anno. Abbiamo festeggiato quando da voi erano le nove e mezza di sera. In tenda, con tutti gli amici della Protezione Civile. Il Tavernello in busta come spumante, i piselli in scatola al posto delle lenticchie. Gente eccezionale, tutti volontari che hanno abbandonato le famiglie per aiutare questo popolo cosi’ colpito. Tutto intorno era silenzio, perche’ qui stanno ancora al 1382 ed entreranno nel nuovo anno il 20 marzo. L’ennesimo Capodanno fuori casa. Quest’anno ho passato 163 giorni lontano. Cinque mesi e mezzo. Qualche tempo fa era anche peggio. Sara’ l’eta’, ma stavolta sento che il 2004 per me comincera’ soltanto quando tornero’ a casa. 31 dicembre 2003
Li chiamano i sopravvissuti. L’ultima e’ una bambina di nove anni. La scorsa ne hanno salvati una decina, fra cui Yadollah, un giovane che deve la vita alla moglie. Le ricerche erano finite da tempo, lei ha insistito, ha pianto, urlato e alla fine lo hanno trovato, vivo, a una settimana dal terremoto. Oggi ho raccontato la sua storia in diretta al tg e poi di questo strano capodanno iraniano fatto di dolore e di paura, con scosse che ancora scuotono la terra.Insciallah. 1 gennaio 2004
Un cumulo di macerie
Bam - Ci sono momenti in cui non hai voglia di scrivere perche’ quello che hai visto vorresti rimuoverlo, e non raccontarlo. Oggi ho visto cataste di cadaveri. Chiusi malamente nelle coperte, distesi uno accanto all’altro in uno spazio accanto al cimitero. E poi ho visto le ruspe scavare le fossi comuni. Centinaia di corpi sono stati trovati anche oggi sotto le macerie. Per fortuna anche vivi: un uomo e una bimba di sei mesi salvata dall’abbraccio della madre. Li chiamano miracoli e nessuno, in realta’, a tre giorni dal terremoto ci credeva. E’ stata la gente a insistere, a prolungare le ricerche che invece sarebbero state interrotte ieri. Quella bambina non sarebbe stata salvata. Le speranze pero’ sono finite perche’ con stasera si chiude. I vigili del fuoco italiani tornano a casa, non c’e’ piu’ bisogno di loro dicono le autorita’, mentre la gente continua ad invocare il loro aiuto e quello dei cani. Stasera l’ayatollah Khamenei e’ venuto a Bam e ha garantito una ricostruzione veloce. Non si puo’ definire neppure una speranza. Bam non esiste piu’. E decine di migliaia di persone sono per strada, senza un tetto, senza niente. Chissa’ quanto ci resteranno. Ai religiosi pero’ qui si crede: ciecamente. 29 dicembre 2003
Le rovine di Bam
Bam - Oggi sono stato nella citta’ d’arte. Avevo visto la vecchia Bam in fotografia, prima di venire qui. Sapevo che era uno dei gioielli architettonici del mondo. Sono salito fin sopra una delle 28 torri, una delle poche rimaste in piedi, per vedere la citta’ dall’alto. Ho trovato solo rovine. Tutto distrutto. Certo l’Iran deve pensare soprattutto ai lutti (le ultime cifre parlano di cinquantamila morti, chissa’ quanti sono i feriti e chissa’ quanti gli sfollati) ma anche la distruzione della cittadella, visitata anche da Marco Polo, una struttura vecchia di 2500 anni , va considerata una grandissima perdita. Ho visto ragazzi piangere li’ sopra. Uno, in un inglese stentatissimo, mi ha quasi commosso. “Ecco…la nostra civilta’ persiana. Solo voi italiani, cosi’ ricchi di storia, potete capirci”. Poi ho vissuto la giornata dell’esodo, angosciante, e il dramma di chi resta per strada perche’ non sa dove andare. Ma quell’ammasso enorme di argilla rossa e’ quel che mi e’ rimasto soprattutto dentro. 30 dicembre 2003
Il dolore
Bam - Giornata infernale. Sono stato fra le rovine. A Baravat, e poi a Bam. A Baravat e’ una distesa interminabile di macerie. Tutto raso al suolo. I sopravvissuti vagano fra i resti di terra e di paglia piangendo e chiedendo aiuto. Molti sono convinti che ci sia ancora gente viva la’ sotto. O forse morta. Chiedono comunque di cercare. I vigili del fuoco s’infilano fra le macerie, scavano, si affidano ai cani, ma trovano solo animali. Anche vivi, se malconci, come un povero asino adagiato davanti la porta di casa, come a farne la guardia. Di quella casa e’ rimasta solo la porta. Manca tutto. Acqua, luce, da mangiare, medicine, barelle, tende, tutto. E’ dura anche per noi. Non mangiamo praticamente da tre giorni, se non fosse per quel pugno di riso ieri sera. Abbiamo trovato rifugio in un albergo ma e’ ossessionante con crepe dappertutto. E non e’ che il terremoto sia finito. Oggi abbiamo sentito tante scosse, soprattutto due: violente. So ormai, mi sono rassegnato, che tutto questo lo leggerete al ritorno, ma e’ comunque una maniera per mantenere il legame. 28 dicembre 2003
Migliaia di morti
Bam - Il cimitero di Bam e’ fra la citta’ vecchia e quella nuova, in un pezzo di deserto dove il vento e’ sempre forte. E’ qui che continuano a seppellire le vittime di questo terremoto terrificante che in un solo minuto, all’alba di cinque giorni fa, ha fatto piu morti che negli ultimi dieci anni. Il cimitero adesso si e’ moltiplicato, occupa una grande fetta della radura. Hanno messo i corpi a tre a tre perche’ non c’era tempo di scavare le fosse. Ma sono riusciti, pare, incredibilmente a identificare tutti cosi’ sulle tombe hanno potuto scrivere i nomi, su qualcuna c’e’ addirittura un fiore e c’e’ chi viene qui a pregare. Viene chi e’ rimasto. Pochissimi. Il popolo di Bam continua a fuggire in cerca di rifugio, perche’ il freddo adesso e’ diventato troppo forte, insopportabile ed e’ impossibile vivere per strada. Caricano sulle carcasse d’auto quel poco che hanno e lasciano questa citta’ fantasma, la Bam cancellata. E che probabilmente non ci sara’ piu’. Mentre la terra iraniana continua implacabilmente a tremare. 31 dicembre 2003
domenica, luglio 02, 2006
Una catastrofe
Kerman - Corpi distesi per terra, malamente avvolti nelle coperte. Questa e’ la prima immagine dell’Iran devastato dal terremoto. Quando, dopo nove ore massacranti di viaggio, su un C-130 strapieno di mezzi, siamo atterrati a Kerman abbiamo subito toccato da vicino il dramma di un popolo. Colpito, sbandato, senza difese. E quando, dopo un altro breve volo, siamo arrivati nel centro dell’inferno, a Bam, il dramma e’ apparso subito chiaro. Una grande confusione. Neppure il governatore sa quanti siano i mort, figuriamoci i feriti e i senzatetto, non sa neppure quanti siano i soccorritori. I nostri della protezione civile, grandi esperti, al primo sopralluogo hanno subito individuato una localita’ completamente isolata, Baravat, dove ci sono sicuramente tante vittime ma forse ci sono anche superstiti. Domani all’alba cominceranno a cercare: i vigili del fuoco e i cani. Stanno per arrivare anche due ospedali da campo, uno della croce rossa. E mi sento quasi a casa. Sono stanchissimo, preoccupato per le comunicazioni (chissa’ se riusciro’ mai a mandarvi queste note e un’immagine per la tv), seccato per i controlli iraniani in un paese dove tutto e’ rigorosamente controllato. E poi affamato, infreddolito, scosso dal vento del deserto. Sta per arrivare capodanno. Menomale che sono circondato da amici. Ma qui e’ proprio tutto lontano, molto lontano. 27 dicembre 2003
Il terremoto
Risveglio brusco. Ancora sotto i postumi natalizi, pronto a trascorrere qualche giorno in santa pace, ecco la telefonata. "Migliaia di morti in Iran. Un terremoto disastroso". Non e' che la redazione mi chiami per darmi le notizie. Quando me le da' significa che sono coinvolto, che quell'avvenimento e' "mio". Scatta allora il piano di partenza, complicato stavolta da mille problemi. Il visto, innanzitutto. L'Iran non e' un Paese qualsiasi. Forse riusciro' a partire domani e chissa' quando arrivero' a Bam, questa splendida citta' antichissima rasa al suolo. A meno di ripensamenti improvvisi o di difficolta' operative insormontabili, dunque, il mio Capodanno dovrei passarlo in Iran. Lontanissimo dalle feste occidentali. Li' il nuovo anno sara' salutato, ancora una volta, da morti e rovine. E il destino mi ha portato ancora una volta fuori dei bagliori. Forse adesso capite perche' si diventa diversi, a fare i gabbiani. Mi ha chiamato adesso un collega del giornale radio. Stavamo gia' insieme, due anni fa, a Kabul per un altro capodanno di frontiera. Ci giochiamo su, arrivando a una conclusione. "L'unica fortuna e' che stavolta, rispetto al capodanno afghano, non ci sara' Sgarbi". E' gia' una consolazione. Una battuta per esorcizzare quel pizzico di angoscia che accompagna sempre i viaggi disagiati e soprattutto la lontananza da casa, che comunque pesa. Ho sempre pensato che la vitaccia non la fanno gli inviati (che in fondo l’hanno scelta), ma le famiglie degli inviati. Le vere vittime.
26 dicembre 2003
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